Studiare un reperto senza danneggiarlo o alterarlo non è certo impresa facile. L’osservazione della Sindone non poteva che porre attenzione sulla componente merceologica dell’oggetto, se fosse stata di fattura coerente con le conoscenze dell’epoca e di un materiale che effettivamente all’epoca fosse presente e lavorabile.

Il lino è certamente presente nell’epoca giudaica del I sec. : numerose testimonianze ci provengono da reperti egizi (di cui alcuni, splendidamente conservati, sono esposti al Museo Egizio di Torino e risalgono a 3-4 mila anni prima di Cristo).
Sul tipo di tessitura (e sulle riflessioni ancora aperte di cui abbiamo già detto in 02.La contestazione “tessile” all’autenticità) non si possono trarre conclusioni definitive e certe.
D’altronde, non è pensabile procedere per asportazione e distruzione nello studio del reperto. Microprelievi sono stati tuttavia compiuti in almeno due occasioni recenti e hanno permesso di studiare in modo più approfondito il telo. Come per una indagine forense, Max Frei ha operato prelievi per adesione dai contaminanti del telo, ipotizzando che (viste le modalità di conservazione nei secoli) questo fosse stato più volte sottoposto all’aria e su di esso vi si potesse quindi trovare funghi, sabbia e polveri.
Da botanico, il suo principale interesse era di evidenziare spore vegetali (pollini) che, essendo le cellule germinali delle piante, sono caratteristiche e diverse per specie anche dal punto di vista morfologico.

Le caratteristiche delle spore sono tali da mantenersi in “sospensione vitale” quando sono presenti cause ambientali avverse e di mantenere la propria forma (anche se fossile). Inoltre, così come le piante hanno una propria diffusione su base  climatica e altimetrica, anche le proprie spore mantengono la prossimità,  laddove possono avere ragionevole speranza di attecchire. Sono infatti sostanzialmente di due tipi: quelle che prevedono l’impollinazione anemofila e quella ad impollinazione entomofila (ovvero ad opera di insetti).
Le spore anemofile sono perlopiù trasportate ad opera del vento e hanno un’elevata dispersione (circa il 90%) nel raggio di circa 100 metri. Seppure non si possa negare che condizioni di vento forte e secco possano trasportarle anche per molti kilometri, la loro presenza a distanze importanti sarebbe possibile ma in concentrazioni statisticamente irrilevanti.
La criminologia palinologica (di cui Frei fu sostenitore nella direzione dell’Istituto di Polizia di Neuchatel in Svizzera) permette infatti di indagare le spore presenti sui reperti, per mettere in relazione la presenza dello stesso in un’area geografica precisa.

L’intuizione di Frei era quindi molto semplice: se la Sindone avesse percorso alcune regioni in tempi nei quali la localizzazione era ancora assicurata da un sistema di trasporto lento, si sarebbero dovute trovare tracce di contaminanti pollinici tipici delle diverse aree.

Bisognava quindi effettuare la campionatura dei pollini presenti sul telo, identificarli e cercare correlazioni geografiche degli stessi. La scena del crimine permette lo studio ambientale per l’evidenziazione delle tracce: la contaminazione dell’ambiente ha certamente lasciato parimenti un’impronta di sé sul reperto.

Max Frei si approcciò quindi allo studio dei pollini prelevati dalla Sindone grazie ad adesivi sterili premuti sul telo e poi richiusi per evitare ulteriori contaminazioni.
Lo studio si protrasse per molto tempo: si rendeva necessario identificare le spore stesse e sapere dove collocarle geograficamente.La storia dell’indagine, incompiuta per la prematura scomparsa dello scienziato svizzero, è emozionante e permette di tracciare un possibile percorso del lenzuolo funerario.
Ci si aspettava quindi che il telo avesse catturato dei pollini tipici delle localizzazioni geografiche in cui era certamente stato nei secoli precedenti (Italia e Francia): la ricerca evidenziò infatti le spore di tipiche piante europee. Se l’oggetto fosse stata la vera reliquia della morte del Cristo, avrebbe dovuto rivelare anche le spore tipiche della Palestina.
Frei studiò quindi l’impollinazione, ricostruendo la storia e la leggenda di un percorso ipotetico che il tesoro aveva fatto per giungere in Italia…e scoprì che la reliquia non era stata certamente solo a Torino. Di almeno 58 pollini identificati, vi erano alcuni che provenivano da altre zone…

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