La Sindone è un lino antico a forma di lenzuolo delle dimensioni di 440 x 110 cm, che è stato tessuto a “saia” (un tipico intreccio tessile). L’intreccio è del tipo 3:1, ovvero l’armatura fa passare un filo di ordito sopra tre di trama e quindi sotto al quarto. Se ne ottiene un andamento trasversale che provoca una rigatura diagonale detta a “spina di pesce”.
Il tessuto è decisamente di fattura pregiata: pare che all’epoca (I sec. d.C.) il materiale più comune fosse di lana e che la torcitura non fosse inversa (come la Sindone e altri teli medioevali mostrano).
Ciò ha portato quindi alcuni ad obiettare che non si possa trattare di un elemento attribuibile al periodo storico di Cristo, piuttosto un falso medioevale.

Un lavoro di  Antonio Lombatti, pubblicato nel 2010  da MicroMega, ricostruisce alcuni aspetti dell’inumazione rituale ebraica, avvertendo che le pratiche di sepoltura (rigidamente normate in Deuteronomio) si sono mantenuti tali nel corso di lungo tempo poiché hanno base su prescrizione religiosa che ha certamente maggior resistenza al cambiamento degli usi culturali e civili.
Un ampio campione statistico (più di 5.000 sepolcri) sostiene una conoscenza che si può definire quindi dettagliata.
In particolare sono noti una sessantina di panni funerari, non in ottimo stato di conservazione ma che hanno permesso di ricostruire gli oggetti destinati alla sepoltura nella Palestina Romana del I secolo.

Il ritrovamento eccezionale di una sepoltura con teli parzialmente integri, avvenuto nel 1999 nel sito archeologico dell’area tra le valli del Cedrom e dell Hinnom a sud della città vecchia di Gerusalemme, é dello stesso periodo storico in cui visse Gesù: la sindone di Akeldamà.
Il sepolcro, nella tipica foggia a loculo del “K  prevedeva l’uso di più teli, corde e bendaggi per immobilizzare il cadavere (così come riporta l’evangelista Giovanni parlando di “teli” e come prescive la Mishnah Semahot  che richiedeva una completa legatura del cadavere, e non una semplice copertura, fatta con più teli («takrikim»).
Akeldamà o akeldamách, ovvero “campo di sangue” è un terreno  nella valle di Hinnom a Gerusalemme. L’estrazione dell’argilla (che vi si trova abbondante) allo scopo di costruire vasellame, può avere dato il nome di  “campo del vasaio”, che viene citato nel  Vangelo di Matteo. Giuda Iscariota avrebbe ricavato 30 denari per consegnare il Cristo alle autorità sinedritiche. Il prezzo fu rigettato dal traditore che, pentito, restituì la cifra al Sanhedrîn.  Ma l’Assemblea eletta rigettò l’idea di riporre i denari nel tesoro del Tempio, perché sporchi appunto “di sangue”, destinando la cifra all’acquisto dell’Akeldamà, ovvero del cimitero destinato all’inumazione dei morti non israeliti (da cui il nome). L’argilla ha tuttavia un colore fortemente rossastro che potrebbe parimenti aver suggerito il nome di “campo di sangue”.  L’evangelista Marco dichiara che sia il prezzo del martirio di Cristo l’elemento originario della toponomastica; Luca negli Atti degli Apostoli vi vede invece il gesto suicidario di Giuda, che “precipitando in avanti si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere”.

Comunque sia, l’unico sudario certamente coevo a Cristo è quello ritrovato in Alkedamà, che al radiocarbonio è stato datato tra il 50 a.C. e il 70 d.C. . Di questo si ha modo di vedere come composizione e orditura siano sostanzialmente differenti dalla Sindone di Torino.
Il ritrovamento archeologico, a cura del gruppo guidato da Shimon Gibson, ha evidenziato come la fattura del sudario di Alkedamà  è composto in due parti (un pezzo per il capo e uno per il corpo). Questi avvolgevano il corpo di un uomo affetto da lebbra e tubercolosi, ritenuto essere stato un alto sacerdote ebraico o un aristocratico. L’usanza di legare il corpo e di lasciare un fazzoletto poggiato sul solo capo poteva essere un modo per permettere, nei casi di morte apparente, la possibilità di respirare e di chiamare aiuto. Gibson sostiene quindi che, dopo tre giorni, la famiglia si recava tradizionalmente a visitare la tomba: avrebbe così potuto udire le grida d’aiuto o constatare il decesso. Questa usanza è per altro riscontrabile anche nella descrizione evangelica, ove le donne tornano al sepolcro di Cristo per le abluzioni e per rendere omaggio al cadavere, ma scoprono la tomba vuota.Il ritrovamento non è quindi di una sindone vera e propria in un unico pezzo, piuttosto in bendaggi e un sudario (cioè un fazzoletto) posto sul viso.

Più simile alla Sindone è il ritrovamento nella necropoli di Khirbet Qazone, presso il Mar Morto, di una tunica (però in lana e non in lino) a pezzo intero, con sciarpe per bloccare  polsi e caviglie.
Solo a Masada vengono rinvenuti abiti in cui uno dei 15 tipi diversi di orli ritrovati presenta analogie a quello della Sindone.

La Sindone di Torino è di lino, a spina di pesce con struttura 3:1 e f165px-Saia_spina_di_pesceilatura a Z; quello di Alkedamà è in lana, con una semplice struttura 1:1 ) e filatura a S.  Sostanzialmente differenti, quindi.
L’unico tessuto simile alla Sindone è stato rinvenuto per le ricerche di comparazione nella radiodatazione al Carbonio 14 nel 1988 al Victoria e Albert Museum di Londra (ma è stato datato al XIV secolo ed è quindi di fattura medioevale).

Tuttavia sono stati ritrovati tessuti con torcitura a Z anche nel periodo romano sia in Israele che nei territori di confine (seppure questa modalità fosse più consueta in Italia e in Grecia).

La questione riguardante le dimensioni è da escludere come elemento di validazione: alcuni sindonologi ritengono che la Sindone misuri esattamente 8 cubiti x 2, il che confermerebbe l’origine giudaica del tessuto. E’ stato appurato che il cubito è una misura architettonica religiosa, mentre i tessuti venivano misurati nell’equivalente delle spanne.

Queste considerazioni merceologiche e cultural-tradizionali hanno deposto contro l’autenticità del telo. Tuttavia, la seppur ampia serie di ritrovamenti di teli funerari (con datazione certa), mostrano caratteristiche statisticamente differenti dalla Sindone, ma questa non si può considerare per certo di fattura anacronistica: ne rivelano invece la preziosità e una possibile importazione.
Un tessuto così curato e pregiato poteva davvero essere stato utilizzato per un uomo che era stato ritenuto straordinario (se è vero che pochi giorni prima un preziosissimo vaso contenente nardo era stato rotto per profumare Gesù, causando risentimento tra alcuni discepoli che ne avrebbero visto una vendita lucrosa, mentre altri lo avevano considerato un equo utilizzo per l’eccezionalità del personaggio).

Si può davvero sostenere che nella Palestina del I secolo (dove era tipica la filatura a S, ma non esclusiva!) nessuno era in grado di filare o anche solo di importare dalla Grecia o dall’Italia un tessuto di ricca fattura?
A quel tempo il governo militare era nelle mani dei Romani e i mercati più aperti erano appunto con Grecia,  Roma, Siria ed Egitto.

Neppure può essere contestata la qualità del materiale: seppure con strutture del tipo 1:1 o 2:2, sono stati rinvenuti altri teli funebri a Qumran e a Gerico, sia in lana che in lino.

Possiamo quindi concludere che né l’una né l’altra ipotesi possono fondarsi in certezza di autenticità o di falso.

Come l’immagine che raccoglie, la Sindone mostra qui la sua caratteristica sfuggevolezza.

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